Una serie di sfortunati eventi – la recensione di Grafite
“Non guardare, non guardare…” recita la prima strofa della sigla iniziale di Una serie di sfortunati eventi, la cui prima stagione è stata recentemente resa disponibile da Netflix a livello internazionale (anche in Italia), dando così inizio a un gioco metanarrativo implicito con lo spettatore, che è un po’ il filo rosso dell’intera storia e costituisce l’aspetto più originale ed esaltante di una serie TV che, lo diciamo sin dal principio, è un prodotto davvero ottimo in ogni suo aspetto, anche quello più infinitesimale.
Una serie di sfortunati eventi è l’adattamento per il piccolo schermo di una collana di romanzi omonimi firmati da Lemony Snicket, nom de plum di Daniel Handler – romanzi peraltro illustrati dall’egregio artista Brett Helquist – la cui storia vede protagonisti i tre fratelli Violet, Klaus e Sunny Baudelaire – bambini estremamente singolari e prodigiosi – rimasti improvvisamente orfani, a seguito della morte dei genitori in un misterioso incendio. Da questa premessa prenderà il via la spiacevole sequenza di eventi suggerita dal titolo, che vedrà i tre giovani protagonisti intenti a cercare di sfuggire alle grinfie del loro perfido parente alla lontana, il Conte Olaf, attore di teatro fallito, desideroso di mettere a tutti i costi le mani sull’ingente patrimonio ereditato dai Baudelaire.
Lo spettatore sarà dunque guidato – in senso quanto mai letterale – ad assistere, “suo malgrado”, a uno spettacolo drammatico e rocambolesco, che li vedrà passare di tutore in tutore per scappare dal loro inseguitore, viaggiando su e giù per un mondo fantastico, a metà tra la fiaba e il racconto horror: a fare da guida in questo tour ci sarà proprio la figura di Lemony Snicket, che diventa un personaggio in carne e ossa, e non una mera voce narrante. Questo è un altro aspetto importante del grande – e riuscito – esperimento metanarrativo che questa serie TV rappresenta: la storia ci viene raccontata da un personaggio che si trova a muoversi nella stessa, ma che ne è allo stesso tempo fuori, che conosce preventivamente ciò che accadrà ai protagonisti, ma che in modi sempre più originali partecipa alle vicende degli stessi, rivolgendosi direttamente allo spettatore, e invitandolo appunto a guardare altrove, come la stessa sigla iniziale suggerisce sin dal suo incipit, perché potrebbe rimanere sconvolto da ciò a cui si ritrova ad assistere.
Una serie di sfortunati eventi propone una storia avvincente quanto bizzarra, contestualmente colorata e tetra, che è quanto mai character driven, ossia pilotata dai suoi bellissimi e riusciti protagonisti. I tre fratelli Baudelaire sono infatti ragazzi pieni di sorprese, ma allo stesso tempo pur sempre dei bambini che si trovano loro malgrado protagonisti di un gioco mortale più grande di loro: dall’oggi al domani dovranno far fronte alla spietatezza di Olaf, altro personaggio meravigliosamente caratterizzato, così buffo ma anche pericoloso, così improbabile e per questo imprevedibile. Forse più che nell’omonimo adattamento cinematografico datato 2004 – nel quale svettava uno splendido Jim Carrey – il casting della serie TV targata Netflix si rivela particolarmente azzeccato, dando a questi protagonisti un volto e una voce memorabile: Neil Patrick Harris è davvero perfetto nei panni di Olaf, ruolo che evidentemente si è molto divertito a interpretare e del quale ha saputo sapientemente carpire lo spirito, così come i piccoli Malina Weissman, Louis Haynes e Presley Smith non sfigurano affatto nell’impersonare i tre Baudelaire; senza dimenticare Patrick Warburton, che dona la giusta gravitas malinconica e disillusa a Lemony Snicket, e i tantissimi altri personaggi comprimari che arricchiscono significativamente l’affresco narrativo.
Ma non sono solo i personaggi a funzionare bene in un prodotto che gira con la precisione e infallibilità di un orologio svizzero, che diverte e appassiona man mano che la storia va avanti (fenomeno da non dare mai per scontato con la narrazione sequenziale e scaglionata propria delle serie TV). Una serie di sfortunati eventi, seppur trasmessa sul piccolo schermo, non ha davvero nulla da invidiare a una pellicola cinematografica, per qualità e anche per quantità. Estremamente apprezzabili sono le scenografie, che spaziano dal gotico al piratesco al barocco, ricreate sia artigianalmente che con l’utilizzo del digitale – più che distinta la qualità degli effetti di computer grafica di una serie girata abbondantemente con l’utilizzo del green screen.
Senza dimenticare una sceneggiatura capace di catturare ogni aspetto essenziale dei romanzi e traslarlo intelligentemente nel linguaggio cinematografico/televisivo, e a una regia attenta e capace di dare contemporaneamente ritmo e profondità a una storia se vogliamo anche decompressa – perlomeno rispetto al suddetto adattamento cinematografico.
Ma sopra ogni cosa è il linguaggio a essere perfetto in Una serie di sfortunati eventi – e ad avere un’importanza anche molto più pragmatica di quanto immaginabile. In una storia già di per sé godibilissima anche per lo spettatore desideroso di un intrattenimento meramente immediato, si aggiungono sovrastrutture narrative che alimentano costantemente il senso di mistero e successiva scoperta, oltre a dare molto spazio al simbolismo intrinseco della trama. Oltre a tutti i giochi metanarrativi dei quali abbiamo già parlato, che portano lo spettatore a partecipare quasi attivamente a ciò che sta vedendo, coinvolgendolo a pieno. Per quanto questa serie possa sembrare speculare sia ai romanzi originali che al precedente adattamento cinematografico, contiene in realtà più di una significativa – e coraggiosa, va detto – novità, a partire dal rendere Lemony Snicket un protagonista in carne e ossa, che funge da raccordo tra chi guarda e chi “vive” la storia, si segnala anche la presenza di due personaggi inattesi, potenzialmente in grado di rovesciare l’intero senso della narrazione, il cui vero ruolo viene svelato solo nell’atto finale della prima stagione.
Un prodotto eccellente, una vera serie TV evento della quale aspettiamo impazienti la seconda stagione.
Raffaele Caporaso