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Grafite intervista Paco Desiato: l’artista e la necessità di raccontare mondi

In vista dell’imminente edizione 2016 del Taranto Comix, che si svolgerà i prossimi 17 e 18 dicembre presso il PalaMazzola di Taranto, Grafite ha intervistato Paco Desiato, autore di fama internazionale e con notevole esperienza, che da anni collabora con la Walt Disney Company, oltre a dedicarsi ad altri progetti a fumetti più personali e autoriali e insegnare Colorazione digitale e disegno creativo presso la Scuola Italiana di Comix di Napoli.

Desiato ha dato un contributo importante al mondo del fumetto italiano sin dai primi anni Duemila, con molteplici pubblicazioni, tra le quali ricordiamo la serie Omar Moss, il libro Il sindaco Pescatore (che gli è valso il premio Giancarlo Siani nel 2011), e la recente opera Mammacqua, dal grande valore sociale e culturale. Le sue collaborazioni in ambito Disney hanno dato vita alle graphic novel originali di pellicole d’animazione cult come CarsMonsters & Co.Alla Ricerca di DoryToy StoryRalph Spaccatutto, sino al recentissimo Oceania.

In attesa di averlo come nostro ospite, abbiamo discusso con Desiato di molteplici argomenti, dalla sua visione del fumetto e dell’arte in generale, al suo impegnatissimo lavoro.

Ciao Paco, e benvenuto in Grafite!

Ciao, grazie della vostra bella ospitalità!

Partiamo dalla Disney: come nasce questa importante collaborazione, che ti ha visto lavorare a titoli importanti come Cars, Alla ricerca di Dory e tanti altri? Com’è lavorare per un’azienda così importante a livello mondiale?

La mia collaborazione con Disney nasce per caso, quasi per una strana combinazione astrale: sono cresciuto artisticamente da autodidatta, dipingendo prima sui muri e poi un po’ dovunque, disegnando e colorando prima manualmente per poi passare al digitale, dove sono stato in grado di sintetizzare tecniche molto personali, sia nel disegno che nella colorazione, che ho sperimentato dapprima su Omar Moss. È una tecnica a metà strada tra il manga, il cartoony americano e il disegno classico Disney.

Quasi in maniera inconscia, nel tempo, ho quindi dato vita a un mio stile personale evidentemente funzionale al fumetto Disney, e in questo ambiente si è continuamente alla ricerca di nuovi artisti in grado di realizzare tali fumetti nel migliore dei modi, consentendo anche un’evoluzione e modernizzazione degli stessi. Nel 2009 ho dunque iniziato a collaborare con Disney, facendo una prova di colorazione per Cars 2, che andò molto bene, nonostante nutrissi poche speranze: si trattava di una colorazione pittorica per gli sfondi e più semplice per i soggetti in primo piano.

Questa prima esperienza mi è valsa la loro fiducia, e dopo una gavetta immensa – e in questo senso è stato fondamentale lavorare su Terra, un quotidiano ecologico – mi sono trovato persino a dirigere un team di coloristi, quando abbiamo dovuto lavorare su Cars 2. In pochi mesi ho svolto un lavoro immenso, almeno per i miei standard. In tutte le altre prove fatte per Disney ad altri progetti mi hanno sempre preso, e resto sempre un autore che nel tempo libero continua a dedicarsi ai suoi progetti.

Nello specifico, in cosa consiste il tuo lavoro con Disney? E in che modo i fumetti da te, come da altri, realizzati si intersecano con le pellicole cinematografiche in uscita ogni anno?

Nel corso della realizzazione effettiva di un film d’animazione Disney, l’azienda sviluppa altri progetti, a fumetti e non, anche per un discorso promozionale. Vengono contattati dei piccoli team creativi che si impegnano nel dar vita a storie originali che vadano a inserirsi nella continuity dei film, espandendone il contesto narrativo: è un vero e proprio lavoro di squadra, dal quale si impara sempre qualcosa.

Si tratta sempre di esperienze molto gratificanti e istruttive, motivo per il quale conservo sempre grande umiltà e gratitudine, continuando a lavorare su questi progetti. C’è sempre un grande ritorno professionale, e del resto ho a che fare con i migliori al mondo.

Come artista, lavori sì in un ambito del fumetto sostanzialmente commerciale, non rinunciando però anche a impegni più autoriali. Come si sposano queste due realtà dentro di te?

Semplicemente, noi siamo artisti, e come tali ci esprimiamo per mezzo della nostra arte in maniera quasi istintiva. È il nostro unico modo per descrivere ciò che abbiamo dentro.

Per esempio, io sin dai tempi del liceo subito dopo essermi svegliato metto su foglio tutto quello che mi viene alla mente dalla notte. Non si tratta di qualcosa di razionale: fare arte – fumetto, musica o altro – è qualcosa di inconscio, una pulsione, un bisogno. Mi sono sempre fidato del mio istinto, sin dai miei primi anni lavorativi: quando iniziai a fare fumetto, una delle prime cose che ho realizzato è stato proprio Omar Moss, la storia di un antiquario nella Napoli del futuro, periodo nel quale tutto ciò che faceva parte del passato era stato gettato via e dimenticato. Il protagonista era quindi l’unico testimone della Storia umana: questo racconto mi è nato d’istinto. Poco dopo la gente mi diceva che la mia opera era molto “orwelliana”, ma io all’epoca Orwell non lo avevo ancora letto – avrei recuperato più avanti.

Non vedo esclusività tra fumetto di mero intrattenimento, quello più commerciali, e opere più autoriali: infatti, come già detto, nonostante la mia collaborazione con Disney, cerco sempre di dedicarmi ai miei progetti ogni volta che posso. Un paio di anni fa, infatti, mi è stato commissionato un fumetto il cui tema principale era quello dell’acqua pubblica: così è nato Mammacqua, libro nel quale si parla di un’eccellenza napoletana.

Alle tue radici artistiche c’è un’origine underground, poiché sin da giovanissimo ti sei cimentato, con successo, nella spray art. Cosa ci puoi raccontare al riguardo?

Mi sono dedicato sin da giovanissimo al writing. Lo scopo era quello di esprimere le mie visioni, e vivevo in un periodo in cui la spray-art era molto diffusa nella mia città, motivo per il quale mi ci sono cimentato, ma sempre a modo mio: non dipingevo scenari metropolitani o hip-hop, ma quasi sempre elementi fantasy, come elfi, fate o divinità classiche legate alla cultura mediterranea.

Il writing mi è sempre piaciuto come fenomeno artistico, e non l’ho mai legato a matrici sociali specifiche. Per questo mio lavoro, fui citato nel libro La pittura napoletana: ero molto giovane all’epoca, e ricordo ancora questa citazione con felicità e gratitudine.

Sei insegnante di Colorazione digitale e disegno creativo presso la Scuola Italiana di Comix di Napoli: quanto è importante insegnare il fumetto in maniera didattica in scuole specifiche?

Lo studio è sempre fondamentale, in qualsiasi ambito, e serve fondamentalmente ad accorciare i tempi di formazione, artistica e non.

Crescere professionalmente è un po’ un “rubacchiare” qualcosa a chi ti insegna, motivo per il quale la funzione del maestro è importantissima, specie quando si parla di qualcosa di pur sempre “artigianale” come il fumetto, nonostante la sua diffusione. Frequentare una scuola, cosa che ho fatto anche io, studiando presso la Scuola Italiana di Comix di Napoli dove ora insegno – e questa è una cosa molto romantica, che ricordo sempre ai miei allievi – è qualcosa di importantissimo.

Se non avessi fatto questo percorso, non sarei arrivato dove sono nel tempo che ci ho messo. Poi ovviamente ognuno prende la sua strada, trovando il suo stile, e in questo senso è anche auspicabile fare un percorso parallelo come autodidatta, cercando di imparare indipendentemente altre cose guardando al mondo che ci circonda.

L’avere un mentore, inoltre, può aiutare tantissimo, e questa figura la si può trovare solo in una scuola di fumetto. Col mio lavoro di docente incontro ogni giorno ragazzi pieni di talento, che cerco di indirizzare al meglio così che non disperdano le loro capacità, trovando così la propria strada.

Grazie mille per la tua gentilezza, Paco. Ci vediamo al Taranto Comix i prossimi 17 e 18 dicembre!

Certo, non vedo l’ora e grazie a voi, sarà molto bello venire in Puglia, dato che mio padre è originario proprio di queste terre!